Il pletismografo e le prove di funzionalità respiratoria

La respirazione, secondo la fisiologia, è lo scambio gassoso di ossigeno ed anidride carbonica ed i movimenti, di inspirazione ed espirazione, che li accompagnano. Movimenti questi, lenti e quasi impercettibili quando si è tranquilli, invece veloci ed ampi quando si svolge un lavoro pesante, e che nell’immaginario collettivo sono legati all’essenza della vita, alla forza ed alla virilità, alla salute ed al benessere. Ma questi fini movimenti respiratori rivelano molto di più di quanto si possa immaginare, soprattutto se ad “osservarli” c’è una speciale macchina chiamata pletismografo: simile ad una cabina telefonica, dotata di diversi sensori di pressione e flusso, è capace di leggere ed interpretare l’intero ciclo respiratorio fornendo dati fondamentali per la ricerca scientifica e nella pratica medica quotidiana. Infatti lo studio della funzionalità respiratoria mediante il pletismografo è un’indagine essenziale in pneumologia ed in particolare per la diagnosi e la gestione di patologie respiratorie come l’asma e la Broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO).

Il pletimosgrafo: dalle leggi della fisica all’utilizzo quotidiano

Una cabina pletismografica
Una cabina pletismografica per lo studio della funzionalità respiratoria. Foto FP.

Le basi teoriche della pletismografia polmonare hanno origine nel 1600 grazie alla legge fondamentale dei gas descritta all’epoca dal fisico e chimico irlandese Robert Boyle e dal fisico francese Edme Mariotte e che così recita: “Una stessa massa di gas sottoposta, a temperatura costante, a pressioni diverse P e P’ assume volumi V e V’ inversamente proporzionali alle pressioni stesse”. Secondo le formule proprie della matematica la legge di Boyle e Mariotte si può esprimere nel modo seguente: Pressione * Volume = costante. Per le prime applicazioni di questa scoperta con il pletismografo dobbiamo attendere la fine dell’Ottocento quando vennero pubblicati infatti i primi lavori dagli studiosi Gad e Pflüger. Sebbene ancora oggi le basi teoriche siano rimaste pressoché le stesse, il pletismografo nel corso del Novecento è stato continuamente studiato e migliorato, soprattutto ad opera di diversi ricercatori tedeschi. Il pletismografo agli occhi dell’osservatore assomiglia ad una cabina telefonica dove il paziente, seduto all’interno, effettua dei respiri attraverso un boccaglio che misura il flusso di aria durante la respirazione; mentre altri sensori rivelano ad esempio le variazioni di pressione o di volume. Quello che consente appunto questo strumento è di poter mantenere costante nel corso del tempo, cioè durante il ciclo respiratorio, uno dei due valori della legge di Boyle-Mariotte (pressione o volume) mentre l’altro parametro viene misurato dagli appositi sensori. Oggi il modello di pletismografo di più comune utilizzo è detto “a volume costante” ed è caratterizzato da pareti fisse dove i movimenti respiratori generati dal paziente provocano appunto delle variazioni pressorie all’interno della cabina.  Si tratta comunque di variazioni pressorie molto piccole, è diventa così essenziale dunque la sensibilità dei sensori.

Come si esegue l’esame

L’esame pletismografico è svolto solitamente in un ambulatorio di fisiopatologia respiratoria, sotto la supervisione del personale infermieristico appositamente addestrato. Innanzitutto il giorno dell’esame, salvo diversa indicazione medica, è consigliabile non assumere la l’eventuale terapia inalatoria proprio per non alterare il risultato della prova. Inoltre sarebbe opportuno aver sospeso da almeno qualche settimana eventuali terapie con corticosteroidi. Durante l’esame il paziente, seduto all’interno della cabina, esegue dei respiri tranquilli a riposo mentre in una determinata fase della prova gli verrà prescritto di eseguire degli sforzi respiratori a vie aeree chiuse da un otturatore, dove è posto un ulteriore rilevatore di pressione. Nel corso della prova vengono registrati diversi cicli respiratori così da poter individuare quello che meglio rispecchia le condizioni del paziente e le caratteristiche dell’apparato respiratorio.

Quando è necessaria la pletismografia polmonare?

Rispetto ad altri test di più semplice esecuzione, quello che caratterizza l’esame al pletismografo è la possibilità di misurare il volume di aria che rimane nei polmoni alla fine di una espirazione massimale. Questa quantità di aria viene denominata “volume residuo”; la sua valutazione nel contesto degli altri dati e grafici forniti dall’esame permette allo specialista pneumologo di poter avere una visione globale della funzionalità respiratoria del paziente e poter formulare una diagnosi. Ad esempio nelle patologie ostruttive come la Broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) il volume residuo tende ad aumentare, mentre nelle patologie tipicamente restrittive come la fibrosi polmonare il volume residuo diminuisce. Numeri e dati che nel contesto clinico e con il supporto dello specialista pneumologo diventano essenziali per la diagnosi, la terapia ed il monitoraggio delle condizioni cliniche. Piccoli movimenti dell’apparato respiratorio che fra cifre ed altri grafici ci rivelano qualche tassello di quel puzzle della vita il cui mistero ci accompagna dal nostro primo respiro.

Schema esemplificativo della valutazione funzionale respiratoria mediante la pletismografia. La linea ascendente e discendente rappresenta lo studio di un ciclo respiratorio completo. L’area tratteggiata rappresenta il volume residuo (aumentato nelle patologie ostruttive, tendenzialmente più basso nelle patologie restrittive).

Autore dell'articolo: Fabio Pirracchio