Editoriale | Vaccini e parole

Una famosa canzone di Mina del 1972 era intitolata “Parole, parole, parole”. E in effetti fiumi di parole ce ne sono stati da quando il Covid-19 è apparso nella Repubblica Popolare Cinese e, con un mondo globalizzato, si è rapidamente diffuso in ogni angolo del nostro pianeta. L’O.M.S. che dapprima indicava con sigle le varianti man mano scoperte in diversi Stati, da alcuni mesi ha adottato l’alfabeto greco con la speranza che ci bastino tutte le lettere, considerato che ormai si parla di “convivenza col virus” e di “vaccinazioni periodiche di richiamo col booster” e sempre meno si parla di “immunità di comunità o di gregge”. Intanto anche in Italia dal prossimo 16 dicembre dovrebbe essere disponibile il vaccino a dosi ridotte per la fascia d’età dai 5 agli 11 anni, senza obbligo e col consenso sia dei genitori e di quello informato per gli stessi bambini con un richiamo dopo tre settimane. E tra l’altro in molte città da Nord a Sud i sindaci obbligano all’uso delle mascherine all’aperto e nelle zone della movida. Di già alcuni Stati hanno già provveduto in questo senso, altri lo stanno prevedendo come obbligo per tutti i cittadini, come la Grecia e l’Austria. Ma gli scienziati lanciano un allarme: “nessuno è al sicuro finché tutti non sono al sicuro”. Quanto avvenuto nell’Africa australe con la comparsa della variante “omicron” è indice della situazione venutasi a creare. Da una parte gli Stati più ricchi che provvedono a massicci acquisti di vaccini, quelli meno ricchi che arrancano. La situazione in Africa, con 55 Stati, è allarmante come segnalano l’A.V.A.T. (African Vaccine Acquisition Trust), l’Africa C.D.C. (Centri Africani per il Controllo e la Prevenzione) e lo stesso COVAX: il programma dell’O.M.S., per la fornitura dei vaccini ai Paesi meno sviluppati. Anche l’India e la Cina hanno promesso milioni di dosi ai paesi africani dove appena il 7% della popolazione, su un totale di oltre 1,314 milioni, risulta vaccinata e con Stati come il Burundi fermo allo 0,01% e la Tanzania allo 0,09%.”La maggior parte delle donazioni – dichiarano le Organizzazioni africane – fino ad oggi sono state fornite con scarso preavviso e breve durata: Ciò ha reso estremamente difficile per i paesi pianificare campagne di vaccinazione e aumentare la capacità di assorbimento. I paesi hanno bisogno di forniture prevedibili e affidabili: Dover pianificare con breve preavviso e garantire l’assunzione di dosi con tempi brevi di conservazione brevi aumenta in modo esponenziale il carico logistico sui sistemi sanitari”. Viene pure sottolineato come “la maggior parte delle donazioni fino ad oggi non include le necessarie forniture per la vaccinazione come siringhe e diluente, né copre i costi di trasporto”.

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Autore dell'articolo: Mimmo Pirracchio

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