Come si vive la quarantena: una testimonianza dalla zona rossa

Da Vittadone, frazione di Casalpusterlengo, la signora Rosangela Negri ci racconta la vita di questi giorni e ci esprime i tanti desideri, domande e speranze sul futuro

Una foto di Vittadone, frazione di Casalpusterlengo. Foto RN.

Provincia di Lodi, pochi chilometri a nord del fiume Po, fra gli ampi orizzonti della Pianura Padana. Lì c’è una frazione di Casalpusterlengo, chiamata Vittadone, dove abitano circa 300 persone. Poche case ed una antica chiesa risalente al XV secolo. Anche questo piccolo nucleo abitato, permeato da bucolica tranquillità con le sue tradizionali cascine lombarde, è dentro la cosiddetta “zona rossa” istituita da una settimana per contenere il dilagare dell’infezione da nuovo coronavirus 2019-nCoV. Dalla caotica e popolosa Cina, come è nel nostro immaginario, l’emergenza per la malattia Covid-19 è arrivata anche qui dopo la scoperta che un giovane di 38 anni, originario del vicino comune di Codogno, è risultato positivo al nuovo coronavirus ed è tutt’ora ricoverato in ospedale.

Nel desiderio di riuscire a raccogliere una testimonianza di quanto succede oltre il confine della zona rossa riesco a parlare al telefono con la signora Rosangela Negri, di professione impiegata nel settore bancario e che abita proprio a Vittadone, la quale accetta la mia intervista. Anche lei, insieme alla sua famiglia, sta vivendo la quarantena imposta a tutti i cittadini del suo comune e degli altri nove centri abitati dove si è sviluppato il focolaio lombardo del nuovo coronavirus. Una settimana di quarantena è ormai alle spalle, e dunque ecco come la signora Rosangela Negri in questa intervista ci racconta la sua esperienza e come continua la vita oltre il confine della zona rossa dove al momento nessuno può entrare o uscire.

Innanzitutto chiedo a Rosangela cosa è successo quando, la scorsa settimana, ha saputo della quarantena. Come ha vissuto quel giorno? Tutto è iniziato “Il venerdì mattina alle ore 7, mentre andavo al lavoro, quando ho sentivo alla radio che un ragazzo di 38 anni di Codogno risultava positivo al coronavirus. In quel momento diciamo che mi è ‘venuto un colpo’. La giornata è trascorsa chiedendo informazioni. Dopo il comune ha mandato dei comunicati, che io ho ricevuto tramite WhatsApp, dove spiegavano che non saremmo potuti uscire e che si sarebbe rimasti in quarantena per due settimane”.

Parlando con Rosangela emergono tanti dettagli della nuova realtà dove sono stati catapultati gli abitanti della zona rossa, e cosa si prova nel quotidiano: “Ti senti un po’ reclusa e non puoi fare quello che vorresti. Venerdì sera sono tornata dal lavoro, e da allora siamo in casa. Possiamo comunque uscire, ma non puoi uscire dal comune. Così ti accorgi delle cose che ti mancano, e che non puoi fare, proprio quando queste sono vietate. Adesso abbiamo solo gli alimentari e le farmacie aperte; se ad esempio voglio prendere un paio di scarpe non posso perché i negozi sono chiusi”. Rosangela mi spiega che comunque i supermercati sono attualmente ben riforniti, ma al contrario una cosa che mancano nei negozi sono le scorte di mascherine. E così continua spiegando cosa significa stare in quarantena: “La mia passeggiata non posso farla di due chilometri perché c’è l’esercito che mi blocca. Posso andare solo a Casalpusterlego, a fare la spesa con la mascherina ed i guanti. Posso anche fare un giro a Casalpusterlengo però non c’è nessuno (per strada, NdR). Invece non posso andare a Codogno, perché lì ci sono le forze dell’ordine che non ti fanno passare”.

Come era la vita prima dell’isolamento?  “Vittadone è una frazione di Casalpusterlengo, la vita era molto semplice, qui quasi non si percepisce (il cambiamento, NdR). La gente va in giro in campagna. Nella mia famiglia, lavorando, ci dedicavano alle uscite più che altro il sabato e la domenica, per lo shopping, la spesa, una cena in pizzeria. Qui a Vittadone non c’è ‘vita sociale’; se desideri uscire devi andare a Lodi, a Casalpusterlengo, Crema”.  

Chiedo dunque quale è stato il momento più difficile di questi giorni, Rosangela risponde subito e senza esitazione “L’inizio! Proprio i primi giorni. Perché adesso tutto questo pensi di conoscerlo un po’ meglio. Tuttavia anche quando pensi di conoscerlo meglio, poi salta fuori qualcosa e torni in quel tunnel che non sai quando tutto questo finirà. Magari dici ‘ma si dai, la gente è stufa, comincerà ad uscire’; poi alla fine non è vero. Appena passi un po’ la soglia… succede qualcosa. Bisogna stare molto in guardia”. Questa metafora della “soglia” mi incuriosisce. Rosangela dunque mi spiega che per “passare la soglia” può intendersi il voler dire a sé ed agli altri “Rilassiamoci un attimo, non pensiamoci, usciamo, facciamo un giro a Casalpusterlengo”. Tuttavia mi racconta come l’aver avuto notizia dai suoi concittadini di diversi eventi negativi avvenuti in zona fa riemergere le stesse preoccupazioni ed ansie dei primi giorni. “Se tu sei in casa e non hai contatti, e non chatti con nessuno, è ovvio che le cose non le sai. Ma se chiedi in giro, le cose saltano fuori anche dopo una settimana, quando sembra che sta passando (l’emergenza, NdR). Se cominci a parlare con gli altri, salta sempre fuori qualcosa”.

Chiedo quindi a Rosangela di descrivermi un’immagine di questa realtà, ad esempio cosa si vede dalla finestra della sua casa, e cosa è cambiato dopo la quarantena. Cosa si vede di diverso? Ci spiega che “Vittadone non è un luogo di passaggio. Se apro la mia finestra, vedo tutti campi e campagna ed una strada. L’unica cosa che non passa in questi giorni è il pullman, perché tutto è fermo. Inoltre non ci sono in giro quei pochi bambini, che di solito vanno al parco. Ecco i bambini mancano; ma invece c’è più gente in giro a camminare. Quello che ci blocca è l’esercito, che è un qualcosa in più”.

Cosa pensi che avverrà nel prossimo futuro? “Penso che ci faranno rimanere ancora una settimana in quarantena, poi ciascuno tornerà alla propria vita, andrà al lavoro, ecc. Ma lì la cosa non sarà passata, adesso sono tranquilla in casa. Ma poi uscirò, andrò al lavoro, e magari mi ‘beccherò’ il coronavirus quando meno me lo aspetto”. E così continua: “Chissà da quanto tempo il coronavirus è in giro… Cerchiamo di essere sereni, tranquilli, ma lavorando con il pubblico sei sempre sul ‘chi va là’ ”. In famiglia mi racconta Rosangela come cerca di tranquillizzare la madre, si parla spesso del problema del coronavirus, e le notizie giungono principalmente tramite internet e la televisione, e così precisa: “Ne parliamo fra di noi ma diciamo che tutto questo non finirà in una settimana”.  Le chiedo dunque quale è la prima cosa che farà quando tutto sarà finito, e così risponde decisa e speranzosa: “Mangiare una bella pizza!”.

Infine Rosangela sottolinea l’importanza del senso di responsabilità di tutti i suoi concittadini “La gente deve essere responsabile, onesta, rispettare quello che si dice. Rimaniamo nella nostra zona, cerchiamo di contenere quanto è successo e far sì che non si allarghi”.  E dunque le chiedo, in città l’animo è di collaborare con le istituzioni? “Sì, dobbiamo avere un po’ di fiducia!”, ma aggiunge come secondo lei sarebbe stato necessario eseguire il tampone a tutta la popolazione della zona rossa. Con le sue parole Rosangela ci ricorda come questi luoghi in provincia di Lodi non erano molto noti prima dell’emergenza coronavirus “Non eravamo conosciuti, non ci conosceva nessuno, ma adesso siamo sulla bocca di tutti”. Speriamo dunque che presto l’emergenza si risolva, e che questi piccoli e graziosi centri abitati tornino alla loro normalità. L’immagine dei campi e della campagna, con tutti gli strumenti ed i lavori fermi, mi ricorda il Pascoli quando esprimeva il senso di abbandono e di solitudine nella sua famosa poesia “Lavandare”; fra quei versi emergeva infine quel velato senso di speranza che presto qualcuno ridonasse forza a quell’aratro lasciato “in mezzo alla maggese”.  Questa è la forza e la grande dignità della gente del luogo, un pensiero che mi è venuto adesso, e che non potevo non esprimere.


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Autore dell'articolo: Fabio Pirracchio